Si, è bella la sua schiena, sono belli i suoi capelli, le sue braccia e i suoi mugugni mentre amoreggia con il pianoforte. Oramai hanno fatto il giro del mondo musicale le polemiche sul concerto letteralmente “noir” a cui hanno assistito gli attoniti spettatori dell’arena santa giuliana dell’Umbria Jazz 2013. Keith Jarrett aveva sviluppato già una sostanziale repulsione per la kermesse italiana, infatti nel 2007 aveva abbandonato furibondo il palco per qualche flash di troppo dei giornalisti e degli appassionati. Ma si sa, Keith Jarrett è la quintessenza del genio musicale, è nel firmamento del jazz mondiale considerato uno degli artisti più eccentrici ed istrionici. Per quanto mi riguarda rappresenta per il jazz ciò che ha rappresentato Bob Dylan nella musica popolare, oppure Erich von Stroheim nel primo cinema muto, ovvero “l’uomo che ami odiare” ed è proprio l’ammirazione mista all’odio a tenere a galla il musicista Statunitense.
Il 7 luglio scorso non si è smentito lo stravagante Jarrett, che dopo anni di assenza dal palcoscenico italiano decide di tirare un altro schiaffo al pubblico pagante ( molto pagante ). Inscenando una specie di vendetta musicale ha suonato per tutto il concerto dando le spalla alla platea e sopratutto esibendosi nel buio completo per i primi 45 minuti del breve concerto, lasciando l’arena Santa Giuliana in uno stato di febbrile nervosismo.
Devo dire che seguendo la manifestazione da molti anni e con grande attenzione non posso che trovarmi d’accordo con l’analisi fatta da Carlo Vantaggioli su TuttoInfo, il comportamento del musicista è davvero incomprensibile, dimostra la dicotomia tra le sue qualità umane e musicali. L’ostinazione degli organizzatori di Umbria Jazz nell’invitare l’americano sono la cosa che mi lascia più indispettito, scegliendo per altro di “relegare”” artisti come Hiromi e Marsalis al Teatro Morlacchi. Sono perfettamente cosciente che i mitomani del jazz mi diranno: ” Ma quella schiena è di Keith Jarret!!” Ma non posso esimermi dal ricordare che un Sonny Rollins claudicante regalò sullo stesso palco uno spettacolo grandioso alla veneranda età di ottantre anni, o il coetaneo Amhed Jamal non fu da meno nell’edizione 2011. Ma più di tutti fu Tony Bennett, il vegliardo crooner ad emozionarmi, esibendosi a tarda notte dopo uno straripante Hancock, con una verve ed una professionalità senza pari. E’ certo che la passione l’educazione non si guadagnano con l’età.