Riviste letterarie del Novecento – La Voce

La vera destinazione di una rivista è rendere noto lo spirito della sua epoca. L’attualità di questo spirito è per essa più importante della sua stessa unità o chiarezza e perciò una rivista sarebbe condannata – al pari di un giornale – all’inessenzialità, qualora non si configurasse in essa una vita abbastanza potente da salvare, col suo assenso, anche ciò che è problematico. Infatti: una rivista, la cui attualità non abbia pretese storiche, non ha ragione di esistere.

Walter Benjamin, annuncio della rivista «Angelus Novus».

Mai come nel Novecento si era assistito, nel panorama letterario italiano, ad un infittirsi di riviste, programmi e proclami. In quanto organi fondamentali di discussione, proposta e divulgazione, le riviste svolsero, in particolar modo nella prima metà del XX secolo, un ‘intensa ed essenziale azione tesa ad affermare e diffondere le nuove idee letterarie dell’epoca. iMalpensanti vi propone un viaggio tra i rotocalchi più importanti ed influenti del Novecento italiano.

La Voce

Tra le riviste culturali più importanti del Novecento italiano, un posto di rilievo lo occupa certamente La Voce, fondata a Firenze nel 1908 da Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini. I due intellettuali, reduci dall’esperienza del Leonardo, durante la fase preparatoria del giornale, si avvalsero della preziosissima consulenza di Benedetto Croce. Tra i loro obiettivi, quello di allargare gli orizzonti oltre la sfera letteraria, offrendo così al pubblico un prodotto completo che abbracciasse ogni tendenza artistica, e che diventasse un imprescindibile punto di riferimento per ogni uomo di cultura dell’epoca. Un progetto ambizioso, avvalorato dalle collaborazioni di Ardengo Soffici, che si occupò della progettazione della testata, di Giovanni Amendola, di Gaetano Salvemini, di Emilio Cecchi, di Romolo Murri e di Luigi Einaudi.

Di seguito, l’editoriale d’esordio firmato Giuseppe Prezzolini.

“Non promettiamo di essere dei geni, di sviscerare il mistero del mondo e di determinare il preciso e quotidiano menu delle azioni che occorrono per diventare grandi uomini. Ma promettiamo di essere ONESTI e SINCERI. Noi sentiamo fortemente l’eticità della vita intellettuale, e ci muove il vomito a vedere la miseria e l’angustia e il rivoltante traffico che si fa delle cose dello spirito. Sono queste le infinite forme d’arbitrio che intendiamo DENUNCIARE e COMBATTERE. Tutti le conoscono, molti ne parlano; nessuno le addita pubblicamente. Sono i giudizi leggeri e avventati senza possibilità di discussione, la ciarlataneria di artisti deficienti e di pensatori senza reni, il lucro e il mestiere dei fabbricanti di letteratura, la vuota formulistica che risolve automaticamente ogni problema. Di LAVORARE abbiamo voglia. Già ci proponiamo di tener dietro a certi movimenti sociali che si complicano di ideologie, come il modernismo e il sindacalismo; di INFORMARE, senza troppa smania di novità, di quel che meglio si fa all’estero; di PROPORRE riforme e miglioramenti alle biblioteche pubbliche, di OCCUPARCI della crisi morale delle università italiane; di SEGNALARE le opere degne di lettura e di COMMENTARE le viltà della vita contemporanea”.

La Voce mira da subito alla creazione di un nuovo intellettuale, non più ermetico, snob, chiuso in se stesso e nella sua arte, ma un intellettuale missionario, pronto ad aprirsi alle necessità ed alle richieste della società civile. Dalle pagine del periodico spira un forte vento di rinnovamento culturale, sociale e politico. Si affrontano i delicati temi della riforma scolastica e della questione meridionale, ma soprattutto si dà il via ad un’aspra polemica contro la politica del tempo, e contro la sua obsoleta classe dirigente ormai superata eppure ancora ostinatamente al potere. In questo senso, non mancano attacchi frontali al dinosauro Giolitti.

Forti contrasti all’interno della redazione emergono nel 1911, a causa della Campagna di Libia. Dopo un’iniziale posizione contrastante nei confronti dell’impresa bellica, la rivista, per mano di Amendola, dichiara l’appoggio all’iniziativa del governo precedentemente tanto criticato. Questa sorprendente inversione di tendenza, causa una definitiva scissione all’interno del gruppo vociano, scissione che si concretizza con l’addio di Salvemini, contrario a qualunque forma di nazionalismo.

Nel 1912 la direzione passa nelle mani di Papini, e all’interno del giornale si registra un forte ritorno alla letteratura. In questo periodo La Voce ha il grandissimo merito di lanciare nel panorama letterario italiano autori esteri ancora sconosciuti. Tra gli altri Mallarmé, Gide, Claudel ed Ibsen. Tuttavia alla fine dell’anno la rivista perde altri due pezzi importanti: Papini e Soffici, che la abbandonano per fondare Lacerba.

Nel 1914 avviene una svolta filosofica importante. La Voce, come indica il sottotitolo, assume la carica di “rivista d’idealismo militante”. Si verifica dunque il passaggio da Croce a Gentile. Prezzolini si circonda di nuovi collaboratori: Longhi, De Robertis, Omodeo e Saitta. Nello stesso anno, un nuovo avvicendamento nella direzione del periodico. Prezzolini lascia l’incarico a De Robertis, il quale concentra tutte le attenzioni sulla poesia. Una poesia libera dalle catene dell’impegno intellettualistico politico-sociale. È il trionfo della poetica del frammento.

Nella sua ultima fase di vita, il giornale termina infatti le pubblicazioni il 31 dicembre 1916, La Voce lancia poeti tra i più importanti ed influenti del Novecento italiano. Su tutti Campana ed Ungaretti, ma anche Palazzeschi, Govoni, Bacchelli, Cardarelli e Rebora.

Concludiamo l’articolo proponendovi un intervento di Giuseppe Prezzolini, apparso sul numero 9 del giornale, datato 11 febbraio 1909. Un bilancio, ma ancor più un monito che, personalmente, reputo ancora oggi molto attuale.

AL LETTORE

Lettore, mettiamoci la mano sul cuore. Dopo quasi dieci numeri che ti sembra di questa “Voce” che fischia, urla, tuona da Firenze fino a te, e ti sveglia, ti scuote, ti fa arrabbiare, ti fa sorridere e magari indignare, ma non ti lascia con il disgusto della carta stampata non letta e con il ronzio della lezione non ascoltata? Valeva la pena di farla?

A me, che ci ho riflettuto sopra oggi, e non per la prima volta, par di sì. Ho sentito molti giudizi; ho chiesto molti consigli; ho ricevuto parecchie lettere, di grandi e di piccoli, di gente che scrive con la mente e di persone che son dominate dal cuore, di firmati e di anonimi; e l’eco m’è giunta, diritta o di sbieco, di quel che si dice fra gli avversari.

Orbene, io ne sono contento. E sai perché? Perché alla mia buona volontà non si può attribuire colpa. Io vorrei avere tutto il genio che non ho, tutta la forza fisica che non posseggo, tutta la ricchezza economica che non ho sortito per infonderle qui generosamente e render tutto ancor più alto, più vivo, più vasto e più vario. Io ho fatto quel che ho potuto; e so in coscienza di non aver speso invano un momento del mio tempo, una scintilla del mio fuoco.

Ma tu, o lettore, hai fatto tutto quel che hai potuto? Se tu conosci quest’opera, tu saprai che non si trattava di creare una delle tante riviste di informazione, dove per dieci centesimi si ricevono tanti centimetri quadrati di carta stampata e più sono miglior affare si fa; né una delle altre tante riviste di passatempo, imprese industriali, dove si tratta di fare che il denaro renda come se si esercitasse il commercio dei fichi secchi o delle specialità mediche. Caro lettore, qui dentro, te ne sarai accorto, ci sono convinzioni e volontà: si sa che la vita dello spirito è anche vita etica, e che è anche vita pratica. Il nostro programma se è, da una parte, protesta e critica delle deviazioni, delle maschinerie, delle viltà che guastano molti ingegni dietro le false immagini del guadagno e del lusso, della mondanità e dell’egoismo, della notorietà e dello strombettamento, non è questo soltanto, anzi non è questo principalmente. Volentieri accoglieremmo in queste colonne la parola di un profeta, se profeti ci fossero oggi in Italia; ma non basterebbe. Ci si propone qui di trattare tutte le questioni pratiche che hanno riflessi nel mondo intellettuale e religioso ed artistico; di reagire alla retorica degli italiani obbligandoli a veder da vicino la loro realtà sociale; di educarci a risolvere le piccole questioni e i piccoli problemi, per trovarci più preparati un giorno a quelle grandi; di migliorare il terreno dove deve vivere e fiorire la vita dello spirito. O bravi ragazzi che mi spedite versi in vario metro, o piccoli omiciattoli che mi invitate con gran sfoggio di parole e scarsezza di fatti ad attaccare questo o quel piccolo personaggio della vostra vita locale, decidetevi a ripulir la vostra mente dalle gonfiezze e il vostro cuore dagli odi personali, e lavorate con noi, perché spesso non vi manca l’ingegno ma soltanto una buona volontà. Nelle città di questa vostra Italia ci sono biblioteche ed istituzioni, problemi posti dagli uomini che vivono la vita dello spirito, ingiustizie che la fama del momento ha commesso e l’interesse umano ha riconfermato, questioni sociali suscitate dalle nuove forme di coesistenza umana che si vanno foggiando nel nuovo mondo industriale; andate e vedete, riflettete e ragionate, e la vostra anima sarà più ricca e più calda, più legata agli uomini che ci han preceduto e più avvicinabile dai giovani che ci seguiranno; vi sentirete più umani anche se vi crederete meno grandi.

È vero che ogni giovane d’animo generoso vien su con l’idea di rifare tutto il mondo che vede; ma è altrettanto vero che non conclude nulla se non si riallaccia agli interessi nazionali, alle questioni pratiche, ai moti già esistenti; altrimenti finisce per fare dell’Arcadia politica e dell’Accademia spirituale, creando regni perfetti nelle nuvole e lasciando il disordine e la sporcizia sulla terra dove vive.

Questo non deve avvenire in noi. L’ideale nel cuore; le cose reali nella volontà. E tu, o lettore, ci devi aiutare per questo. Soltanto con il consenso e con l’aiuto di tutti gli spiriti che amano la verità, che vogliono fermamente che la verità trionfi, col sacrificio degli umili, col dono dei ricchi, con il consiglio dei saggi, con il suggerimento degli esperti, io credo che la nostra opera segnerà un  momento di altezza della coscienza italiana.

“La Voce” (1908-1914), a cura di A. Romanò, Einaudi, Torino 1960.

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