La vera destinazione di una rivista è rendere noto lo spirito della sua epoca. L’attualità di questo spirito è per essa più importante della sua stessa unità o chiarezza e perciò una rivista sarebbe condannata – al pari di un giornale – all’inessenzialità, qualora non si configurasse in essa una vita abbastanza potente da salvare, col suo assenso, anche ciò che è problematico. Infatti: una rivista, la cui attualità non abbia pretese storiche, non ha ragione di esistere.
Walter Benjamin, annuncio della rivista «Angelus Novus».
Mai come nel Novecento si era assistito, nel panorama letterario italiano, ad un infittirsi di riviste, programmi e proclami. In quanto organi fondamentali di discussione, proposta e divulgazione, le riviste svolsero, in particolar modo nella prima metà del XX secolo, un ‘intensa ed essenziale azione tesa ad affermare e diffondere le nuove idee letterarie dell’epoca. iMalpensanti vi propone un viaggio tra i rotocalchi più importanti ed influenti del Novecento italiano.
L’Italia futurista
L’Italia futurista fu una rivista letteraria uscita per la prima volta il 1° giugno 1916, sotto la direzione di Emilio Settimelli e Bruno Corra.
Il giornale, che al suo interno annovera personalità di spicco della cerchia futurista fiorentina, nasce dalla “costola” della rivista di Papini Lacerba. Tra gli argomenti maggiormente trattati, come ovvio del resto in quegli anni, la politica e la guerra. In questo senso, il maggior contributo non può che essere rappresentato dalle seguenti parole di Marinetti, pubblicate il 4 luglio 1916, sul numero quattro del rotocalco:
“La GUERRA è una grande e sacra legge della vita. Vita = aggressione. Pace universale = decrepitezza e agonia delle razze. Guerra = collaudo sanguinoso e necessario della forza di un popolo”.
Parole nude, cruente, violente, tipiche del fondatore del Futurismo. Parole che rispecchiano alla perfezione la tendenza abbracciata dalla rivista, quella di un interventismo nazionalista che dimostrasse tutta la forza rampante della sacra patria italica.
Nel numero sei, del 25 maggio 1917, L’Italia futurista ripropone il Programma politico futurista già pubblicato quattro anni prima nelle colonne de Lacerba. Un modo per ribadire la forza e l’attualità delle proposte “rivoluzionarie”, a tratti dispotiche del movimento, che con l’adesione dell’Italia alla Grande Guerra, si illude di aver conquistato un consenso non solo artistico, ma anche, e soprattutto, politico a livello nazionale.
Sempre nel 1917, dopo la terribile disfatta di Caporetto, Filippo Tommaso Marinetti, Mario Carli ed Emilio Settinelli fondano una rivista di carattere del tutto politico, dal titolo Roma futurista, che dirigono direttamente dal fronte. Fondazione che, di fatto, segna la fine del giornale L’italia futurista.
Di seguito, proponiamo un passo estrapolato dalle pagine del giornale. Un passo intitolato No a Lacerba!, dal quale riusciamo a comprendere con grande chiarezza le distanze che divisero le due riviste, pur appartenenti entrambe al variopinto universo futurista.
NO A LACERBA!
“L’ITALIA FUTURISTA non continua assolutamente “Lacerba” di Papini e Soffici. “Lacerba”, poco interessante e poco diffusa prima della conversione dei suoi fondatori al futurismo, acquistò grande valore e popolarità quando gli uomini come Marinetti, Boccioni, Russolo, Balla, Pratella, Buzzi, Cangiullo, ecc., le regalarono le loro stupende energie. Ma poi, essendosi ritirati questi vivificatori, Lacerba riprese la sua meschina vita fino alla morte che fu di tisi. L’iniezione futurista nel suo corpo fradicio di passatismo dette risultati per un certo tempo, poi il morbo congenito finì per trionfare”.