Riviste letterarie del Novecento – Hermes

La vera destinazione di una rivista è rendere noto lo spirito della sua epoca. L’attualità di questo spirito è per essa più importante della sua stessa unità o chiarezza e perciò una rivista sarebbe condannata – al pari di un giornale – all’inessenzialità, qualora non si configurasse in essa una vita abbastanza potente da salvare, col suo assenso, anche ciò che è problematico. Infatti: una rivista, la cui attualità non abbia pretese storiche, non ha ragione di esistere.

Walter Benjamin, annuncio della rivista «Angelus Novus».

Mai come nel Novecento si era assistito, nel panorama letterario italiano, ad un infittirsi di riviste, programmi e proclami. In quanto organi fondamentali di discussione, proposta e divulgazione, le riviste svolsero, in particolar modo nella prima metà del XX secolo, un ‘intensa ed essenziale azione tesa ad affermare e diffondere le nuove idee letterarie dell’epoca. iMalpensanti vi propone un viaggio tra i rotocalchi più importanti ed influenti del Novecento italiano.

Hermes

La rivista letteraria Hermes nasce a Firenze il primo gennaio 1904. Fondata da Enrico Corradini e Giuseppe Antonio Borgese, prende il nome dalla divinità greca messaggera degli dei. I dodici, grandi volumi pubblicati fino a fine anno, sono formalmente caratterizzati da una stampa a mano su carta, e da pregiate incisioni decorative in legno.

Il primo numero del giornale è contraddistinto dalla Prefazione-Manifesto, scritta da Giuseppe Prezzolini. In essa vengono messe in luce le linee programmatiche dell’Hermes, al centro delle quali si erge incontrastata la figura “mitologica” di D’Annunzio, idolatrato alla stregua di un idolo sovrannaturale. Attorno alla personalità del poeta vate si sviluppa inoltre il culto pagano e totale per la forma, che deve tornare ad assumere una posizione di massimo rilievo nella produzione artistico-letteraria.

Dopo appena un anno di pubblicazione, il periodico chiude i battenti, accomiatandosi dal pubblico con un ultimo numero nel quale trova spazio il Congedo, dove viene stilato un bilancio dell’opera svolta. “Fummo alacri scandagliatori di verità e di bellezza, di fantasie e di coscienza”, è quel che scrivono di loro stessi e della rivista gli autori dell’Hermes, ribadendo ancora i loro principi cardine già espressi nella Prefazione, arricchiti ora dalla fiduciosa speranza in un “prossimo risorgimento” nazionalistico.

Prefazione – Manifesto di Hermes

“Qualcuno si maraviglierà leggendo che per noi è aristocratica quell”ARTÈ, nella quale la forma sia espressiva ed intimamente connaturata al contenuto.

È dunque aristocratica l’arte; e l’epiteto sembrerebbe ozioso, se non fosse oggi proprio un’esigua minoranza, una vera aristocrazia quella che riconosce il valore espressivo dell’arte e non ostenta un ebete disprezzo per la FORMA, disgraziatissima fra tutte le parole.

Del resto noi rinunceremmo volentieri all’ambiguità della parola ARISTOCRATICA, se fossero molti anzi che pochi a comprendere quando un poeta sia riuscito ad esprimere e quando sia fallito; se in una parola, la folla tornasse all’intelligenza della forma, che ebbe nella Grecia antica.

Ed anche noi, dunque, con la Grecia. Siamo, diranno,PAGANI e DANNUNZIANI. E si: noi amiamo ed ammiriamo Gabriele D’Annunzio più di ogni altro nostro poeta moderno, morto o vivo che sia, e da lui ci partiamo nella nostra arte.

Siamo DISCEPOLI del D’Annunzio, come il D’Annunzio fu discepolo del Carducci e il Carducci del Foscolo e del Monti. Ma se dannunziano significa scimmia del D’Annunzio disprezziamo l’ingiuria, e passiamo oltre.

Gabriele D’Annunzio è per noi un grande MAESTRO, non un allevatore di fringuelli ammaestrati”.

Giuseppe Prezzolini

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