Joyce e la sifilide

Leggendo il quotidiano torinese La Stampa, nella sezione Cultura e Spettacoli, un articolo mi ha particolarmente colpito, favorevolmente oppure no ancora non saprei dire. Un articolo dedicato a James Joyce e al dubbio se egli abbia avuto o meno la sifilide, definito il mal francese, poiché contratto da diversi poeti e scrittori provenienti da quest’area, tra gli altri Baudelaire, Maupassant, Flaubert, Murger. L’articolo si sviluppa intorno alla pubblicazione del testo dello studioso joyciano Erik Holmes Schneider,  Zois in Nighttown – Prostitution and Syphilis in the Trieste of James Joyce and Italo Svevo, 1880-1920.Ricorrendo alle testimonianze dirette troviamo accenni a due episodi di malattie riconducibili al tema trattato. Il primo è rintracciabile nella corrispondenza tra l’allora ventiduenne futuro autore dell’Ulisse, ed il suo amico Oliver St John Gogarty. Era il 1904 e in alcune lettere si parla di una malattia venerea, contratta da avvenenti meretrici dublinesi, probabilmente la gonorrea. Il secondo è riconducibile a tre anni dopo, il 1907, quando Joyce, già a Trieste, restò diversi mesi disabilitato da una grave malattia, nei sintomi riconducibile alla sifilide, calo della vista, parziale paralisi degli arti etc. Nei sintomi, non ne nelle cure. Dai registri dell’Ospedale Maggiore risulta infatti che lo scrittore venne sottoposto a trattamenti a base di elettricità, non a rimedi convenzionali per l’infezione.Dopo l’aver esaminato le testimonianze dirette, che non portano dunque a risultati soddisfacenti, Schneider prova a rintracciare indizi della sifilide nelle opere di Joyce. Lo studioso si sofferma a fondo nei passi in cui si parla di prostituzione, da alcuni racconti tratti da Gente di Dublino, alla sequenza “Circe” di Ulisse, al postumo Giacomo Joyce, un frammento narrativo composto in poesia, in cui il protagonista ha un incontro ricco di simboli con una passeggiatrice in una Padova resa magnifica dalle oscure atmosfere notturne. Se c’è  autobiografia, è di certo indiretta, nonché sapientemente sfumata.Ciò che nell’articolo viene davvero decantato del testo di Schneider, definito “affascinante e vero centro dell’interesse del libro”, è la parte iniziale, che ha spinto l’autore ad una capillare ed attenta ricerca negli archivi ricchissimi delle strutture mediche e poliziesche dell’amministrazione austriaca che allora governava Trieste, in quegli anni lontana periferia dell’Impero Asburgico. Da tali archivi ne è uscito un sorprendente affresco della vita notturna della città. Nel quartiere Civitavecchia, oggi scomparso, si contavano una quarantina di bordelli, frequentati da prostitute in gran parte schedate, di cui l’amministrazione conosceva a fondo le vite. Bordelli e prostitute nei quali e con le quali solamente forse, Joyce, ha tradito la sua Nora. Sì, perché anche al termine di uno studio così approfondito in merito non si ha la certezza di ciò. E’ probabile che non l’avremo mai, ed in fondo cosa importa, quando un uomo ha donato all’umanità tutto il suo purissimo talento?

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